Recensione di Emily in Paris 3: tra un Pressiat e un Kir Royal, ecco l'Effimero che Crea Dipendenza

Recensione di Emily in Paris 3: tra un Pressiat e un Kir Royal, ecco l'Effimero che Crea Dipendenza

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Attenzione: questo articolo contiene spoiler

In tempo per la neve, le ghirlande e la cioccolata calda, Darren Star torna nelle case dei suoi adoranti spettatori con la terza stagione di Emily in Paris, la serie televisiva che racconta di un’americana di Chicago a Parigi e nel ventunesimo secolo, interpretata dalla meravigliosa figlia d’arte di casa Collins.

È estate nella capitale francese ed Emily Cooper (Lily Collins) è alle prese con le conseguenze delle sue scelte lavorative: vuole seguire Sylvie (Philippine Leroy-Beaulieu) e il resto dello staff di Savoir nella neonata agenzia e, al contempo, non sa come staccarsi con tatto dalla sua vecchia mentore molto incinta, Madeline (Kate Walsh). La relazione tra lei e Alfie (Lucien Laviscount) procede a gonfie vele così come quelle tra Gabriel (Lucas Bravo) e Camille (Camille Razat), Mindy (Ashley Park) e Benoit (Kevin Dias), Sylvie ed Erik (Søren Bregendal).

Per la prima volta, il focus centrale della sceneggiatura si sposta dalla vita amorosa della protagonista alla sua carriera. In questo capitolo, Emily si rende conto di quanto profondamente adori il suo lavoro e, soprattutto, di quanto adori praticarlo in Francia. In effetti, nonostante mastichi a stento la lingua madre e nonostante non perda il suo ottimismo e le sue movenze molto poco je ne se quoi, pare realmente che mademoiselle Cooper si senta a casa nella capitale del Moulin Rouge, di Coco Chanel e di Eugène Delacroix.

Dopo trent’anni di show targati Darren Star, è impossibile non aver capito che la predestinazione degli amanti infelici è senza dubbio uno dei temi cui lo sceneggiatore/produttore del Montgomery è più affezionato. E, infatti, dopo Brenda e Dylan e passando per Carry e Mr. Big, ecco Emily e Gabriel. Se nei primi episodi del nuovo capitolo sembrava che tutti i personaggi fossero contente vittime di un’amnesia, d’un tratto tra la pubblicitaria americana e lo chef della Normandia torna il fuoco in padella.

Oltre che a Emily Cooper e ai suoi giorni colorati e instagrammabili, lo show dà nuova luce, spazio e capacità decisionale anche ai compagni di set, rendendo partecipe il pubblico dei dubbi esistenziali di Mindy, della sfida personale di Sylvie, della sempre più sorridente bizzarria di Luc (Bruno Gouery) e dell’incredibile invadenza - estremamente francese - di Louise (Camille Japy).

E mentre il ritmo della storia scorre adorabilmente e a tempo come fanno le note di Zou Bisou Bisou cantata da Jessica Paré - urge un rewatch di Mad Men - voilà che si materializzano sullo sfondo alcune delle più ammalianti ambientazioni della capitale e dei suoi dintorni: da Place de la Concorde a Le Château de Sonnay al Museo della vita romantica a La Nouvelle Eve.

E così come l’arte performativa, l’architettura e il buon cibo (Esprit Gigi esiste davvero e si chiama Terra Nera), prima attrice indiscussa anche di questa stagione è la moda. La fata madrina dello show si chiama Marylin Fitoussi la quale, in una generosa intervista con CNC, ha parlato della collaborazione con la superba Patricia Field, del suo amore per il vintage e gli eccessi e di essere terrorizzata dai tessuti privi di fantasia. Tra i marchi dei recenti episodi, al fianco di grandi come Vivier e Gauthier, compaiono quelli che Fitoussi definisce jeunes artisans talentueux tra cui Pressiat e Romain Thevenin.

Abbigliati dunque di tutto punto e sorseggiando Kir Royal i protagonisti di Emily in Paris 3 raccontano al loro immenso pubblico una storia leggera, goduriosa per gli occhi e per le orecchie, capace di allontanare i più fortunati dai crucci e i disastri che affliggono le loro giornate impegnative. Nonostante la trama non sia arricchita dai temi universali (eccetto l’amore e la paura del diverso) ma dalle sfide più contemporanee e da un’atmosfera semplice e vivace, la serie TV statunitense ambientata in Francia crea una positiva dipendenza. Tra i meriti dello show vi è chiaramente la performance attoriale di volti noti e in gamba come quello di Lilly Collins: riconoscibile, magnetica, divertente.

Tuttavia, la vera calamita delle attenzioni non può che essere Philippine Leroy-Beaulieu. Sylvie è affascinante, libera sessualmente ed economicamente, indipendente, razionale e insieme sognatrice, e ancora, indossa il nero in maniera impeccabile ed è capace di mettersi costantemente in discussione.
Insomma, l'ideale chic femminile dei nuovi anni Venti!

Nel suo genere romantico e disimpegnato, Emily in Paris è la fuga ideale dalle noie di tutti i giorni. 

Anche del nuovo capitolo si potrebbe tranquillamente fare a meno e ciononostante, nel guardarlo, non si ha nessuna voglia di chiudere Netflix.

madforseries.it

4,0
su 5,0

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