Black Summer 2: Recensione della nuova Stagione della Serie TV Netflix

Black Summer 2: Recensione della nuova Stagione della Serie TV Netflix

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Attenzione: questo articolo contiene spoiler

Rose (Jaime King), Sun (Christine Lee) e Spears (Justin Chu Cary) ce l’hanno fatta: sono riusciti a raggiungere lo stadio, agognata meta rincorsa per tutta la prima stagione. E proprio allo stadio, spettralmente vuoto, Rose riesce finalmente a riabbracciare sua figlia Anna (Zoe Marlett), miracolosamente incolume. Così si conclude il primo capitolo di Black Summer, rilasciato ad aprile 2019 su Netflix.

Ma ora, la black summer è finita, e viene violentemente sostituita dal black winter, che promette di essere ancora più crudele. Infatti, un nuovo pericolo si aggiunge ai non-morti ed agli altri superstiti: il freddo. Tutti sono in cerca di un rifugio, un posto caldo dove poter trascorrere almeno una notte, lontano dai mostri e dalle intemperie. Ma nessun luogo è davvero sicuro: che sia una casa in mezzo al nulla, o una baita apparentemente deserta, i pericoli sono costantemente in agguato. Bisogna essere sempre all’erta, sempre pronti a fuggire senza preavviso. Rimanere in movimento è fondamentale.

Mentre sulla terra regna un terribile caos, in cielo continua a passare un aereo, segno che, da qualche parte, forse, c’è ancora speranza. Forse esiste ancora una civiltà. E così la pista di atterraggio ricopre il ruolo che nella prima stagione era stato dello stadio: la meta designata di ogni gruppo di sopravvissuti, raggiunta da ciascuno attraverso percorsi paralleli ma in qualche modo convergenti.

I sopravvissuti, che nel finale della prima stagione abbiamo visto in modo commovente fare fronte comune contro gli zombie in uno scontro all’ultimo respiro davanti lo stadio, tornano ad essere la minaccia più grande. Perché, è vero, i non-morti sono estremamente feroci e terrorizzanti, instancabili e incapaci di provare dolore; quando arrivano urlando ed emettendo ruggiti al limite del bestiale, la prima reazione è sempre fuggire, non affrontarli. Ma ora, più di ogni altra cosa, si temono i vivi: non più impauriti e disorientati, ma armati ed organizzati; disposti ad uccidere, torturare, abbandonarsi a vicenda per avere qualche arma o un po’ di cibo. “I don’t think you can stay. I don’t know if you’re useful”. La vita umana misurata in termini di “utilità”. Nessun rapporto regge il confronto con l’avere una piccola possibilità in più di sopravvivere. O, meglio, un solo rapporto sembra essere più forte dell’istinto di autoconservazione: quello tra Rose e Anna.

Rose, la madre che ha attraversato l’inferno per ricongiungersi con sua figlia, e che ora ha come unica missione quella di proteggerla, ad ogni costo: “My life has one meaning. And it’s her”. La donna ha imparato dai suoi errori della prima stagione, perdendo gradualmente la sua umanità: non ha più pietà per nessuno, né per uno sconosciuto che le chiede aiuto, né per chi le ha salvato la vita, ma che ora è ferito, e viene visto come un peso che rallenterebbe il suo cammino, come Spears.

Spears, l’uomo dato per spacciato, che riesce a trovare la forza per rialzarsi e mettersi in marcia, nonostante la brutta ferita. L’uomo dall’oscuro passato, sul quale viene fatta luce grazie alle sue conversazioni con Braithwaite (Bechir Sylvain), un conoscente proveniente da una vita che ormai non esiste più, e che non ha più importanza. L’ex criminale che, dopo essere stato abbandonato, riesce in qualche modo a riunirsi con Rose ed Anna.

Mentre nella prima stagione ricorreva l’incomunicabilità (basti pensare a Sun che non conosce la lingua, o a Ryan, sordomuto), e in molti episodi regnava un silenzio rotto solamente da urla e ruggiti dei non-morti, nella seconda viene lasciato molto spazio ai dialoghi, che raggiungono anche discreti livelli di profondità, come in White Horse e in The Lodge.

Vengono confermate alcune scelte stilistiche, come la suddivisione degli episodi in tanti piccoli “paragrafi”: se da un lato si può avere l’impressione di una narrativa frammentata, dall’altro questo schema permette allo spettatore di vedere una stessa scena da più punti di vista, mostrando presente e passato di ciò che sta accadendo, senza creare confusione, dando anzi una sensazione di completezza; anche le persone ed i non-morti che inizialmente sembrano “anonimi”, ottengono una backstory, che ci mostra da dove vengono, e come sono arrivati fin lì. 

Frequente l’utilizzo del piano sequenza, con rapidi movimenti della telecamera nelle scene d’azione, che rendono perfettamente la frenesia delle fughe dagli zombie o degli scontri tra superstiti, e con movimenti più lenti e fluidi nelle scene dove cresce la tensione, come ad esempio nell’esplorazione della baita da parte di Anna.

Nonostante un ritmo meno incalzante rispetto alla prima stagione, complici anche una maggiore durata degli episodi e i numerosi dialoghi tra i personaggi che a tratti possono sembrare riempitivi, chi ha apprezzato il primo capitolo della serie difficilmente non gradirà il secondo, che continua a tentare di rappresentare in modo realistico una situazione che di realistico ha ben poco.

La seconda stagione di Black Summer si conferma al livello della prima, continuando a fare affidamento sui suoi principali punti di forza.

Alti livelli di tensione e scene d'azione ben girate sono garantite!

madforseries.it

3,5
su 5,0

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